Mirella Bentivoglio (1922-2017) oltre a essere una delle protagoniste della poesia visiva internazionale, è stata anche critica e curatrice lungimirante. Il suo lavoro con la parola ha sempre mirato a cogliere la molteplicità dei significati possibili, attraverso una destrutturazione che interessava sia la sintassi che gli aspetti grafici, intessendo relazioni semantiche a vari livelli.
Nata a Klagenfurt da genitori italiani, il suo cognome è Bertarelli. Nel 1949, quando sposa Ludovico Matteo Bentivoglio, decide di adottarne il cognome nella professione artistica, anche guardando al significato della parola. Non abbandonerà più quel cognome, che sembrava di buon auspicio.
Il suo esordio come poetessa risale agli anni Quaranta (Giardino, Scheiwiller, 1943), mentre successivamente si dedica alle arti visive, sia come artista che come critica. Si focalizza sulle relazioni tra parole e immagini, portando in mostra le opere realizzate da artiste donne che si situano in questa zona di frontiera.
Come scrive lei stessa, non ci sono intenti "separatisti", ma la volontà di un confronto e di un censimento del lavoro artistico femminile, spesso messo in ombra.
Mirella si è mossa costantemente in un territorio ibrido, che fosse tra immagini e parole o tra critica e pratica artistica, personificando appieno la commistione di linguaggi propria delle Seconde Avanguardie.
Tra i primi testi critici di Bentivoglio, c'è una significativa monografia dedicata a Ben Shan, del 1963. E' curioso che qualche anno prima, nel 1955, Carla Lonzi pubblica il suo primo testo critico su Paragone proprio dedicandolo all'artista americano. L'attività curatoriale ha inizio grazie alla collaborazione con Ugo Carrega, fertile artista e instancabile animatore culturale. Al Centro Tool di Milano, fondato e gestito da Carrega, nel gennaio 1972 Bentivoglio cura l'Esposizione internazionale di operatrici visuali. Questa è la prima di una serie di mostre collettive curate da Mirella, tra cui anche Materializzazione del Linguaggio, alla Biennale di Venezia del 1978. Vista la scarsissima presenza femminile, Carlo Ripa di Meana, allora presidente della Biennale, chiama Mirella Bentivoglio a curare una mostra che correggesse il tiro. Così nasce la mostra ai Magazzini del Sale, che raccoglie 80 artiste donne che nel corso del Novecento hanno lavorato alle interazioni tra parole e immagini. Il rapporto tra la donna e il linguaggio, quindi tra immagine, segno linguistico e oggetto, è indagato da molteplici punti di vista. Tra le artiste in mostra figurano Cathy Barberian, Tomaso Binga, Irma Blank, Betty Danon, Sonia Delaunay, Agnes Denes, Chiara Diamantini, Amelia Etlinger, Natalia Goncarova, Elisabetta Gut, Ketty La Rocca, Maria Lai, Lucia Marcucci, Anna Oberto, Giulia Niccolai, Betty Radin, Regina, Olga Rozanova, Chima Sunada e Carla Vasio. Dall'Avanguardia russa al Gruppo 63, dalle sperimentazioni sonore e performative alla calligrafia giapponese. "Una delle peculiarità di queste operazioni femminili", scrive Bentivoglio in catalogo, "è la tendenza a trasformare il linguaggio in tessile; ciò che in effetti esso è stato in una tappa remota della sua storia. Forse una prova di penetrazione nell'inconscio; e dell'incontro della donna con il suo mito. Il filo delle Parche, Il filo di Arianna, di Aracne, il filo di un discorso spezzato, che ora sembra venire ripreso".
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